Archivio | settembre, 2013

Still

27 Set

Breve premessa iniziale. Il seguente articolo non si riferisce a nessuna situazione nello specifico, ma nasce dal videoclip.

Per l’appuntamento settimanale del blog, vi presento Still, canzone del gruppo indie-pop britannico Daughter rilasciata per il debutto del loro primo album If you leave.

Sono passati quasi tre mesi da quando ho iniziato a scrivere questo articolo e, nonostante la lunga e faticosa attesa, non ho individuato un titolo opportuno. I nuovi post sono stati presentati con una sola parola e volevo mantenere questo stile. In origine avevo scelto Indifferenza, ma non mi piaceva perché volevo parlare anche delle distanze. Allora Distanze, ma pure questo termine era sempre troppo limitativo. Così, alla fine, ho optato per quel Still che incalza e si inietta sotto pelle, un ancora sofferto e sofferente difficile da sciogliere. Un ancora che per una volta non trasmette la felice voglia di proseguire o di un bis.

Questo post nasce idealmente come duale di Mi amerai ancora?, scritto per l’uscita di Young and beautiful di Lana Del Rey. Se lì c’era una sentita preghiera verso l’innamorato, qui siamo ipoteticamente oltre, al capolinea del rapporto. Riciclo però due affermazioni. Da una parte la totale bellezza della voce femminile, veicolo magnifico di vibrazioni e sfaccettature, capace di scuotere e coinvolgere.

Dall’altra l’amore verso il videoclip che bramo fosse mio. Perché preme i giusti tasti di questo pianoforte ormai non più accordato e impolverato. Parte da una situazione che dovrebbe essere bellissima, un po’ come quell’ancora, che per contraddizione trasforma invece in una prigione castrante. La casa e nella fattispecie la camera, ma ancor più in dettaglio il letto, sono i luoghi in cui dovremmo essere più sereni e in pace. Fortezze in cui poter levare le maschere e ripari che agogniamo anche solo per un semplice riposo. E poi la felicità di dividere tale ricchezza con qualcuno. Forse.

I’ll wrap up my bones / And leave them / Out of this home / Out on the road

La regia del videoclip è molto delicata. Non è un soggetto invadente, ma spia silenziosa i suoi protagonisti come se li guardasse dal buco di una serratura. Li osserva alle spalle, visualizzando i dettagli delle azioni. Li vede riflettersi negli specchi che tappezzano la stanza. Vede ombre sfuggenti e imprendibili. Come in Necrologio, la ragazza si spoglia dei vestiti e del trucco, resta corpo nudo e solo, mentre la sua immagine si scompone spezzando le pulsioni dell’anima in vetri rotti.

Two feet standing on a principle / Two hands longing for each others warmth / Cold smoke seeping out of colder throats

Still with feet touching / Still with eyes meeting / Still our hands match / Still with hearts beating

Lui è lì a pochi centimetri di distanza. Sono vicini, si possono sfiorare e toccare, sentire il respiro e il cuore dell’altro battere. Condividono il letto come due perfetti innamorati. Ed eppure adesso sono le persone più distanti. Sconosciuti, nulla di più. Lei cerca un abbraccio che trova nelle proprie mani seduta sul ciglio del letto. Sono creature indifese e intrappolate da una catena che li lega in una morsa senza fine di una relazione ormai finita.

E allora che cosa è la distanza? Non può essere esclusivamente ricondotta su un piano spaziale. Forse è qualcosa di mentale. La distanza fisica in un rapporto può trasformarsi in un ostacolo laddove si vuole viverla come un ostacolo. Due amanti, due ex amanti, condividono il letto e vivono come una coppia. Ma prevale la freddezza di un freddo respiro. Si cercano ed eppure non si trovano in uno spazio ristretto. Non riescono a incrociarsi. E nonostante tutto sono pur sempre lì, incapaci di chiudere o di capire.

L’ancora si trasforma in una lenta e agonizzante monotonia del corpo e dell’anima. E la distanza in senso diventa puramente un’illusione.

Siamo mutevoli. Tutto cambia in qualsiasi momento, compresi i sentimenti, senza che possiamo prevederne l’evolversi. Chissà cosa è successo alla coppia, ma non vedo amore, né c’è odio. C’è una distanza che si trasforma in sofferente indifferenza. E cosa c’è di peggio? L’odio o la rabbia sono pur sempre sentimenti. Opposti, negativi all’occorrenza, ma lasciano traccia di un volere l’altro. Non nascondono. Si odia qualcuno a cui si continua a pensare, la rabbia si prova verso qualcuno a cui tenevamo e/o che ci ha fatto male.

L’indifferenza è lo stato d’animo che sottende la chiusura, che impone il disinteresse verso il prossimo. È la negazione del sentimento, bello o brutto, attuale o definitivamente per sempre. I due soffrono, sì, ma soffrono per che cosa? Si cercano e non si trovano mai, lei è titubante nel mettere piede in casa, lui nell’aspettarla sveglio. Anime che si specchiavano e che ora sono fredde. E arriva la fine.

Nello spegnere la luce. Nello svanire della televisione. Nel silenzio assordante di una notte. Di due spiriti che sono lì, erranti in direzioni non intersecabili. E quando l’ultima fiamma si spegne…

… Darkness falling, leaves nowhere to go.

©®aMe
Andrea Magliano

Per relazione intendo un qualunque rapporto familiare, di amicizia o come in questo caso di amore, a cui applicare i concetti di distanza e indifferenza.

Tre mesi per scrivere questo articolo e ancora insoddisfatto del risultato.

Sole

20 Set

Per i più non c’era nulla di strano nel giorno che stava facendo capolino. Era un pur semplice giorno, come lo era stato il precedente e quello ancora prima. Proseguivano veloci a testa bassa, attendendo quel domani che ancora non arrivava.

Non per tutti però era un giorno qualsiasi. Non per lui. Sentiva una strana vibrazione nell’aria. Una dolce promessa che lo accarezzava da sotto il tepore del lenzuolo. Quell’oggi l’avrebbe fatto.

L’aveva osservata a lungo, di nascosto e di sfuggita, da dietro le rocce e le fronde degli alberi. Aveva visto il suo sorriso e la purezza dei suoi lineamenti, incantato dalla dolce magia che sprigionava. Era speciale. Non sapeva il motivo, ma lo sapeva e basta. E sapeva che doveva sorriderle e conoscerla. Perché lei lo stava attendendo.

Così sì era alzato in fretta e furia. Si era fiondato dritto verso il guardaroba. Si sentiva ribollire per l’imbarazzo e, anche se non lo voleva ammettere, era agitato. Cosa metto? continuava a ripetersi, frugando tra i suoi completi migliori. Vada per questo! E corse fuori sistemandosi senza sosta il vestito raggiante.

Fortuna che prima di incontrarla sempre lì nello stesso posto, come sempre era stato, attraversava una vasta pozzanghera. Oceano, lo chiamavano là sotto. Ma per lui era solo uno specchio per capire se poteva fare bella figura.

Qualche ora di viaggio e qualche chilometro. Ora pochi minuti e pochi metri. Ed ecco il posto. Come fare a dimenticarselo?

Stava per affacciarsi da dietro il suo riparo quando trovò una famiglia di nuvole dispettose. Avevano deciso di fermarsi per una breve vacanza proprio lì. E come erano antipatiche quelle nuvole, chiassose persino. Tuonavano le loro voci, spaventando i più piccoli ormai in lacrime. Lui sgomitava contro quel muro grigio. Cercava di saltare più in alto o di soffiare più forte che poteva. Ci provava e riprovava. Attese con pazienza che quelle nuvole levassero le tende, ma alla fine con tanta amarezza dovette rinunciare. E con una ferita nel cuore era tornato a casa.

Tribolava sotto le coperte per il mancato desiderio. Poi d’un tratto una scintilla: ci avrebbe riprovato! Sarebbe sorto prima così da battere tutti sul tempo. E così fece, ma pur sempre un lungo cammino doveva affrontare. Doveva correre. Ma quanto era ingrassato e quanto poco era allenato? Correva con sempre più fiato, sempre più accaldato e rosso in volto. Necessitava di una bella rinfrescata. Ma quando?

Poco importava perché, superato il solito riparo, stormi infiniti di uccelli svolazzavano di qua e di là. E di nuovo la sua vista restava bloccata. Ma cosa succede in questi giorni? E la sua collera saliva. Andate via! urlava sempre più violento. Alla fine con un po’ di diplomazia aveva convinto gli ospiti ingrati a volar via. Ma con che fatica! E soprattutto quanta rabbia lo stava riscaldando. Al punto che il suo albero preferito incominciò a… prendere fuoco. E quello che all’apparenza era un giorno perfetto, si tramutò nella sua gaffe più grande.

Vergognoso e imbarazzato, tornava a casa per l’ennesima volta con una ferita nel petto. La testa china nascondeva una lacrima. Prima di addormentarsi, cercò di ricordare il primo magico incontro. E poi il secondo e così i successivi. Non poteva mollare. Gli incidenti capitano. Avrebbe riprovato, stavolta con il sorriso. E si addormentò placido.

Era in viaggio sempre più sorridente. Sentiva che questa sarebbe stata la volta buona. Ma qualcosa non quadrava. Il suo lontano cugino, parente astrale in chissà che modo, quello che vedeva una volta ogni tanto, era lì. Gli stava terribilmente antipatico. Piccoletto eppure così presuntuoso. Lo riteneva fin freddo e un soggetto cupo. Il suo esatto opposto. O no! Si è accorto di me! accorgendosi che non aveva più vie di fuga. Ciao… Luna, quanto tempo che non ci si vede! Avviò così una, per lui, lunga e tediosa conversazione. Quella luna che stava eclissando il suo sogno, ancora una volta ritardato.

Non aveva ascoltato granché di quelle frasi, troppo intento a volgere lo sguardo oltre le spalle dell’interlocutore. La cercava, ma non la trovava. E quando la Luna era fuggita si era portata con sé il suo sogno.

Era triste e a poco a poco si spense lungo la via di casa. Si era infilato sotto le coperte totalmente sfinito.

Il domani era arrivato. Ma non c’era più un valido motivo per sorridere. Si sentiva un fallito e per una volta non voleva percorrere quella strada che lo aveva accompagnato così a lungo. Ma dal suo taschino una cosa, una chiave, mancava. Troppo preziosa per non curarsene. Oddio, dove è finita? Forse è caduta lungo la via.

E a malincuore si era ritrovato a percorrere quello stesso percorso, aguzzando la vista, cercando di scorgere il suo tesoro mancato. Il Sole non si era accorto di aver coperto ormai quasi tutta la distanza che lo separava dal suo solito riparo. Aveva scostato dei vecchi tronchi bruciacchiati quando una voce dolce e serena lo sorprese.

È da un po’ di giorni che vengo qui e ti spio in segreto da qua sotto. Non so il motivo, ma c’è qualcosa in te che mi riscalda e mi fa stare bene. Ti ho cercato e non ti ho più trovato. E mi sono preoccupata. E sono stata triste perché pensavo fossi scappato. Poi ieri, prima di andare via, sotto la Luna ho trovato questa chiave, proprio qui, per terra. Credo appartenga a te. E ti ho aspettato per ridartela. Ciao Sole.

E il Sole sorrise.

©®aMe
Andrea Magliano

Non ho quasi mai pubblicato dei racconti, qui sul blog, giusto un paio quando ancora non avevo lettori. Avevo però voglia di farlo. E spero vi sia piaciuto, strappandovi un piccolo sorriso.

E ringrazio di cuore – e purtroppo con estremo ritardo – la blogger Pilar93 per avermi insignito anche lei del Versatile Blogger Award. Mi sento nuovamente onorato per questi premi che condivido con tutti voi e vi rimando con passione sul suo blog. Io per primo lo conosco da poche settimane, ma ogni giorno che passa mi piace sempre di più e ve lo consiglio caldamente.

Domino

13 Set

Ho allestito questa sala con tante piccole pedine,
piccoli mattoncini tutti uguali e tutti così diversi.
Li ho eretti in un precario equilibrio.
Fatto di sensi, testa e cuore.

Basta una lieve scossa, una lieve carezza,
un soffio di vento e la prima pedina trema.
Non cadere, bisbiglio.
Ed eppure crolli.

Cade la prima e poi la seconda,
crolla la terza e poi la quarta.
Fiumi di mattoni.
E con essi le storie che li hanno alzati.

Cascate di azioni che portano a bivi,
diramazioni violentate anch’esse da questo terremoto.
Decisioni che portano altre decisioni.
Modifiche di ciò che siamo, di percorsi.

A volte la strada prosegue verso altri bivi o a senso unico,
altre volte incontra un muro o il suo capolinea.
Sono pedine, ma sono volti.
Sono conquiste e a volte sconfitte.

Alcuni tasselli sfiorano sottili muri,
piccole fortezze fatte di Lego.
Li solleticano e poi li abbattono.
E muovono nuove file di tessere.

Sono pregi innati o acquisiti,
sono difetti e cicatrici dell’anima.
Verginità perse e lezioni assorbite.
Un vestito e forse la pelle.

La caduta prosegue muovendo le biglie lungo la via,
in rapide curve, angoli acuminati e successioni di righe.
Non voglio guardare rasoterra, non oltre.
Attendo di vedere il disegno che ne esce.

I bivi superstiti si ricongiungono al centro della stanza,
lì dove si erge un castello di carte mentre un metronomo scandisce il tempo.
I tasselli chiudono il cerchio nel fossato.
Il castello è salvo.

Il vento apre la finestra
e la brezza si infiltra nella stanza.
Le carte vacillano ed è subito una pioggia di colori.
Il castello si abbatte.

Un’istante interminabile in cui il metronomo smette di parlare,
solo un’illusione e poi riparte.
Sospiro, seduto sulla scala.
Mi rimbocco le maniche e mi rialzo.

©®aMe
Andrea Magliano

Era da un po’ di tempo che avevo in mente l’immagine del domino che, una volta allestito, è smontato per dar vita a magnifici disegni. In quest’immagine ritrovo l’idea della vita. Cresciamo, o meglio ci evolviamo, in un continuo susseguirsi di causa ed effetto, sulla base delle nostre scelte, delle persone che incontriamo e come ogni decisione ne porta con sé altre. Salvo fraintendimenti, per verginità intendo le prime volte, esperienze in senso generale che ci conducono a uno stato più adulto e maturo. Gli ultimi tempi e giorni hanno avviato un nuovo domino che sento non essere ancora concluso. Non sorrido né sono triste. Sono lì sulla scala che guardo. C’è tuttavia un po’ di decadenza e malinconia.

Intanto un sorriso mi è stato strappato dalla speciale e amica Ludmilla che, vincitrice del Versatile Blogger Award, ha deciso di insignirmi dello stesso premio. Un ringraziamento ancor più speciale a lei e al suo magnifico blog, ricco di spunti interessanti e riflessioni mature. Altamente consigliato.

©®aMe
Andrea Magliano

The giver – Il donatore

7 Set

Prendete carta e penna e immaginate il vostro mondo perfetto. Osservatelo. E adesso ditemi: come è fatto?

Magari è un mondo dove non esiste frustrazione, l’amore è sempre corrisposto, non c’è crisi d’identità, la gente non è affarista, non esistono le guerre. Nessuna malattia e nessuna discriminazione. Nessuna differenza sociale. Nessun tipo di sofferenza. Siete estasiati da una tale visione?

The Giver - Il Donatore di Lois Lowry

Lois Lowry immagina un mondo simile. È una situazione idilliaca e perfetta. Per averla, però, si è dovuto scendere a una lunga serie di compromessi. Sono stati aboliti i colori, le stagioni, gli impulsi sessuali, i sentimenti. Le famiglie sono formate dalla Comunità degli Anziani che vigila sul villaggio. La stessa organizzazione assegna ai bambini, al loro dodicesimo anno di vita, la professione che dovranno compiere. E decide quando congedare un anziano.

In un ambiente così ferreo e rigido, ma pur sempre funzionale e funzionante, a Jonas è assegnato il compito più strano e impegnativo dell’intera comunità. Un incarico conferito una tantum. Sarà il nuovo Accoglitore di Memorie. Il Donatore avrà l’onere di trasmettergli la storia, la memoria, le emozioni dell’umanità. E l’Accoglitore di Memorie è l’unico a poter mentire al resto della società.

The Giver è un libro controverso. Fa parte della categoria Young Adult, romanzi che si rivolgono a un pubblico di giovani adulti, ma trasmette un messaggio molto maturo per il suo target. Ha il coraggio di parlare di temi forti, come l’eutanasia, il suicidio, il sesso a un pubblico teoricamente piccolo. Il libro è stato per questo censurato in molte scuole e dal 1993, anno della pubblicazione, ha ottenuto una nuova vita soltanto negli ultimi anni.

Il romanzo è spesso paragonato a 1984 di Orwell. Entrambe le opere mostrano una realtà dittatoriale, seppur diametralmente opposta. Se nel secondo è una natura oppressiva, qui si trasforma in un mondo idilliaco e repressivo. Tutto ciò che può portare all’individualizzazione è annullato e definito da un gruppo di saggi che mantiene lo status quo attraverso richiami mirati via megafono e decidendo tutto, dalla vita alla morte.

Non c’è la necessità di ribellarsi perché il mondo è vissuto in armonia. Non esistono colori. La proprietà è a rotazione collettiva. I primi pruriti sessuali sono spenti sul nascere con una pastiglia. I nuclei familiari e l’assegnazione dei figli, nati dalle Partorienti, sono imposti. Tutto per il nostro bene. E fino a quando non si scopre ciò che è celato, giusto o sbagliato, non ci si può ribellare.

Il Donatore trasmette allora una memoria oramai perduta al piccolo Jonas, mostrandogli che cosa è stata l’umanità, fatta di sofferenza, guerre e carestie, ma anche di dettagli felici, emozionanti come il Natale, l’amore, l’affetto. Jonas scopre poi che la natura del caso è stata abolita per un volere puramente razionale. Una persona quando è troppo anziana o poco conforme all’ordine del villaggio è accompagnata al congedo, ovvero un suicidio assistito.

Se escludiamo però tutto ciò che caratterizza la vita umana, emozioni giuste o sbagliate, che cosa resta della nostra natura? Il paradiso si trasforma così in un inferno, dove non esiste personalizzazione e dove tutti sono uguali e la vita stessa diviene sterile. La nostra felicità non può prescindere dal nostro dolore, perché è dalla sofferenza che riusciamo a cogliere gli aspetti migliori delle cose.

Un uomo si può definire libero quando ha la possibilità di scegliere come meglio intraprendere il proprio cammino. Le diverse cadute in questo percorso fanno sì male, come quando si cade dalla bicicletta, ma sono necessarie alla nostra crescita interiore. Non sempre i percorsi conducono alla felicità o alla nostra pace, ma sono pur sempre corretti se avvallati dal libero arbitrio.

La perfezione diventa non quel mondo totalmente ordinato, bensì quello imprevedibile guidato dal caos. Fatto di colori e disuguaglianze. Perché la natura è ingiustamente giusta nel suo equilibrio, senza l’intervento di una mano ulteriore, di origine umana.

Cancellare la nostra memoria (similarmente a Se mi lasci ti cancello) diventa estremamente dannoso perché è proprio in essa che tramandiamo noi stessi. È ciò che ci rende personaggi tridimensionali e a nostro modo perfetti. Ognuno è diverso ed è in questo che troviamo la nostra bellezza e la nostra dimensione.

Perché il segreto della vita forse è questo. L’imperfezione.

©®aMe
Andrea Magliano

Recensione originariamente scritta il 4 dicembre 2012, revisione del 6 settembre 2013.