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MDNA

14 Giu

Mi sono girato nel letto tutta la notte, senza chiudere occhio, perché oggi sarà il gran giorno. Ho messo la maglia con la scritta C’ero anche io a quel Ciao Italia! dell’87, che ancora neanche ero nato. L’attesa mi sta uccidendo.

Biglietti, panini, acqua, cellulare, ok c’è tutto. Possiamo andare. Direzione Milano. Tutto scorre in fretta, eccetto il traffico in città. Ci siamo quasi, meno di un chilometro alla meta. Lo intuisco dalla gente, dai vestiti, da ciò che canticchiano. E questa musica? Sì, è sul palco! Sta provando I’m a sinner.

L’eccitazione cresce più ci avviciniamo allo stadio. Quanta gente. Sono attese oltre 50mila persone. Qui la coda per mostrare il biglietto. Lì l’ingresso del nostro settore, secondo anello rosso. Correte! Bei posti, un po’ decentrati e alti, ma che vista pazzesca.

Guardo l’orologio con maniacale impazienza. Scatta il dj set delle 20 e ancora entra della gente. Devo fare la pipì! L’orario di inizio è per le 9, ma c’è ancora troppa luce. Servono le tenebre per questo spettacolo. È inutile che la gente fischi. Lei è una perfezionista e una star. Ecco, l’hanno capito.

Dai manca più poco. Lo staff sta pulendo il palco e montando il turibolo gigante. E queste urla dagli anelli più bassi? I ballerini! Si stanno riscaldando! E poi eccola là… Proprio di fronte a me, in linea retta, esce dagli spogliatoi circondata da altri. È lei…

Il mio cuore si ferma. È reale e non è un sogno. Eppure tutto si spegne.

Di fronte a questa introduzione e con la consapevolezza che lì a meno di 100 metri c’è il mio idolo può non uscirmi una lacrima? Con tutta l’emozione che ho in corpo, stritolo la mano a mia sorella. Forse non le sarò mai più vicino di così, ma lei è lì con me. Madonna è di fronte a me. Mi guarda ed eppure prosegue nel suo show. Per due ore ti porge la mano e ti invita a salire sul palco con lei, per ballare e cantare – e ci riesce persino con me che ho la stessa intonazione di uno gnù e l’eleganza di un elefante -, ricordandoti tuttavia che lei è la star.

Accadeva esattamente un anno fa, ma lo ricordo come se fosse ieri. L’MDNA Tour è stato il mio primo concerto, la mia prima volta a San Siro e il mio primo incontro con Lei. Un battesimo migliore non poteva esserci. Mi sono sentito peggio di un bambino all’interno di un lunapark. Miriadi di cose da vedere, tutte nuove e ugualmente attraenti. MDNA è una sorta di codice fiscale di Madonna, ma rimanda anche alla droga MDMA e mi sentivo come sotto il suo effetto.

Ricordo di aver guardato su Youtube video dei suoi vecchi concerti fatti a Milano e in uno c’era una ragazza vestita da sposa alla Like a virgin dimenarsi sui sedili. La stessa ragazza era al mio tour, poche file sopra di me. Il pubblico era totalmente eterogeneo. Tanti omosessuali – lesbiche, gay e trans sì -, ma anche tantissimi etero. Coppie, single, gruppi di amici. Famiglie con figli di sì e no 10 anni per passare a donne incinte e a gente sui 70/80 anni. Qui si dimostra il potere di un artista, quando riesce a parlare a un pubblico così vasto ed eppure così variegato. Durante il concerto ho spiato un po’ parte di quel pubblico, chi attentissimo a non perdersi i movimenti sul palco e chi non faceva altro che ballare e cantare con i vicini sconosciuti o gli amici. Goliardico e kitsch, è vero, ma una festa.

Un concerto di Madonna è un’esperienza da fare e anche una sfida per lo spettatore. Lei non è la migliore cantante di questo mondo e lo sa benissimo. I suoi non sono semplici esibizioni live, ma veri show con una trama segmentata in atti introdotti da interludi. Madonna sale sul palco circondata da più corpi di ballo, coristi e un gruppo spalla. Alle sue spalle tre maxischermo proiettano immagini o storie. Il palco è modulabile: botole, piloni, persino la punta si alza e si inclina. Se vuoi vedere tutto non sai dove guardare. Ma è inutile: quella donna ha un carisma mostruoso e il tuo occhio tenderà a lei. Ci sono interi numeri in cui lei compare circondata da certi ballerini. Poi la segui nel suo assolo e quando si rigetta nel gruppo ti accorgi che ora quei ballerini sono altri e ti chiedi ma dove e quando sono usciti i primi e dove e quando sono entrati i secondi.

Lei crea uno spettacolo ricco di chicche. Se non erro ci sono circa sei costumi. Il primo è una versione in nero del suo abito da sposa con Guy Ritchie. Questo tour è stato definito da lei stessa un viaggio dalle tenebre alla luce. La prima parte è violenta e satanica. Dei sacerdoti (i Kazaki in tacco a spillo) invocano la Madonna per espiare le colpe, ma chi giunge è più una versione diabolica che non si fa scrupolo a trasformarsi in arma prima (Revolver) e killer dopo (Gang Bang), per essere imprigionata (Hung up) e liberarsi per urlare al mondo la sua emancipazione (I don’t give a). Dietro Nicky Minaj ribadisce There’s only one queen and that’s Madonna, bitch!

Nel secondo atto, lei cheerleader affonda il colpo sull’emancipazione femminile e sul suo ruolo. Propone Express Yourself, ma a un tratto inserisce anziché il suo ritornello quello di Born this way della rivale mediatica Lady Gaga. Calca così lo scandalo che ha colpito quest’ultima accusata di aver plagiato la canzone di Madonna. Donna d’affari di estrema intelligenza, si esprime con il semplice uso delle parole delle due canzoni in una strofa ibrida:

Express yourself / I’m beautiful in my way ‘cause I was born this way / I’m on the right track baby / Express yourself / She’s not me

Come a sottendere: Cara Gaga impara a esprimerti da sola con le tue parole. E quel She’s not me, altra canzone di Madonna, sembra ricordare Lei non è me e mai lo sarà.

Procedendo spediti al terzo atto, è il turno dell’androginia e del ribaltamento dei sessi. In un corpetto versione 2.0 del mitico reggiseno a punta, Madonna intona Vogue, canzone diventata una bandiera del movimento LGTB, vestendo gli uomini della crew in abiti femminili e le donne in quelli maschili. Resta sola con il suo amante e intona una straziante versione al piano con accompagnatore di Like a virgin. Infine nel quarto atto, propone la rinascinata. La festa dei colori, dell’amore e della ricerca spirituale di Like a prayer e I’m a sinner per realizzare una finale Celebration prima di congedarsi.

Madonna stupisce per la scelta di canzoni. Scardina le tue aspettative ripescando tracce note solo a chi ha acquistato i precedenti album (Candy Shop), bonus track uscite solo sul mercato giapponese (Cyberraga) e stravolgendo i classici (Hung up e Like a virgin). Evita il successo facile. Irrompe nel sociale con l’interludio di Nobody knows me in cui appoggia la causa omosessuale, rifiutando il potere totalitario e di regime. Proietta i volti di adolescenti morti suicida per bullismo e omofobia nei paesi anglofoni. Contrariamente a tanti altri paesi, qui in Italia siamo in pochi ad applaudire. Il pubblico in maggioranza ignora chi siano quei volti grazie a nostri media e alla Chiesa. Per chi è interessato vi consiglio caldamente il videoclip in questo post.

Naturalmente non è tutto ora ciò che luccica. Pur fan, riconosco alcune pecche dello spettacolo. Se alcune canzoni sono in playback, in altre è facile capire che sono live dalle stecche lanciate. Madonna inizia a sentire il peso degli anni e si muove molto meno sul palco rispetto a prima (anche se vorrei arrivare io a 54 anni con quell’agilità!). C’è qua e là un riciclo di idee (l’intro di Turn up the radio è nel concept identica a She’s not me e Music inferno dei due precedenti tour). Non ha molta memoria e in alcune tappe dimentica addirittura le sue stesse canzoni (Papa don’t preach)…

Però diamine che emozione quel giorno. E la voglia di annullare quella distanza che ci ha separato e la speranza, o meglio il sogno colossale, di poter lavorare fianco a fianco con questa donna. Artista e imprenditrice. Ma soprattutto immensa fonte di ispirazione.

@aMe
Andrea Magliano

Tempo

15 Apr

Ho aspettato un po’ a scrivere di nuovo perché dovevo risolvere alcune questioni. Anche se, in sincerità, non tutte hanno avuto una soluzione. Ho atteso a scrivere qualcosa di nuovo perché tutto ciò che sto scrivendo non mi piace e suona male, come questo post. E dunque mi sono allontanato dal blog.

Il precedente Sulla strada è, a mia sorpresa e con mia estrema gioia, l’articolo che ha riscosso più successo a livello di apprezzamenti. E piace, strano a dirsi, anche a me che disprezzo più della metà di ciò che partorisce la mia mente. Come poter replicare? In nessun modo. Nel senso che non mi deve bloccare cercando di eguagliarlo, ma devo guardare avanti e continuare a scrivere. In verità sto scavando dentro. Perché è importante conoscere se stessi.

È un interminabile ticchettio
che, come un colpo di cannone,
lacera il silenzio
ricordandomi di essere vivo.

Avete mai la sensazione, quasi un fastidio, di restare fermi? Nessun avanzamento. A volte è tutto il mondo a fermarsi, ma spesso vi accorgete che siete solo e soltanto voi. Vedete le persone intorno a voi liquefarsi in filamenti di luce che si scontrano in strisce luminose, omologandosi e appiattendosi. E in questo spettacolo voi ne siete estranei. Ma quei momenti di pausa, e apparente noia, vi permettono di aprire gli occhi. Non vi potete nascondere dietro un lavoro, una finta relazione. Siete solo voi e il vostro specchio. E non potete abbassare lo sguardo. Vi aiutano a crescere e avanzare.

Assordante rimbombo
che ferisce il timpano
in questo tacito limbo
fatto di attese e noia.

Non avete mai la sensazione di sprecare del tempo? Magari facendo cose che apparentemente vi sembrano importanti, ma che d’un tratto vi spingono a pensare E se mi fossi dedicato a qualcos’altro di più utile? In questi mesi mi sono accorto di aver rinunciato a molte cose, per abbracciarne altre. Sono cresciuto. Ma in fondo niente è da disprezzare, perché niente è realmente inutile. Tutto porta, se si ha occhi per vedere, a un nuovo insegnamento. Del resto la vita è molto mutevole e chi accetta la norma è destinato a perire.

Forse il tempo,
preziosa risorsa
assai bistrattata,
curerà ogni ferita.
Anche se, mi auguro,
lasci la carne esposta
affinché il ricordo vivo
non tramuti in pietra l’essere.

Ogni esperienza – sia essa un lavoro, un’amicizia, un amore, un lutto – lascia un segno sul nostro corpo. Una cicatrice che speriamo, quando poniamo la parola fine, il tempo chiuda e cancelli. Ma cancellare vuol dire dimenticare. Io non credo di volere dimenticare, perché tutto succede per un motivo e ci aiuta a rafforzare il nostro corpo, abituandolo a stimoli prima inesplorati.

Finirà presto la serie dei post criptici, lo giuro. È che in verità non avevo altro da dire se non che mi devo semplicemente tagliare i capelli. E volevo raccontarvelo nella maniera più originale.

©aMe
Andrea Magliano


Madonna – Has to be
(bonus track di Ray of Light per il solo mercato giapponese)

Andrea allo specchio

9 Gen

So di sembrare strano agli occhi altrui.
So che molte mie azioni appaiono incomprensibili.
So di essere molto fraintendibile.
So di essere diverso dalla massa.

Vorrei delle risposte perché non riesco a capire.
Mi sforzo, ma non riesco.
Ho paura però di quelle risposte.
Forse è meglio non sapere.
Ma così vivo di illusioni.

A volte credo di essere speciale, ma tante volte no.
Mi piacerebbe essere la prima scelta, ma mi accorgo di essere sempre l’alternativa.
Voglio fidarmi, ma ne sono spaventato.
Non mi sento indispensabile per nessuno.
Neanche per me stesso.

È incredibile come talune persone cambino il tuo cammino.
Ci sono giorni che non ho voglia di sorridere.
Giornate in cui fatico a trovare sempre belle parole per tutti.
Li chiamano giorni no.
Io li chiamo giorni in cui levo la maschera.

Poi ci sono momenti in cui torni ad apprezzare le piccole cose.
Uno sguardo fugace, un profumo femminile in banchina.
Un ciao ricevuto da uno sconosciuto su un treno.
La musica a palla  nelle orecchie, mentre cammini per strade deserte.
Benché l’abbia sempre disprezzata, inizio a capire la bellezza di Turn up the radio di Madonna.

In questo momento voglio fare il primo viaggio in solitaria.
Perché solo per essere solo, va bene così.
Chissà che non sia un’esperienza di riscoperta.
Mi immagino su una spiaggia in seduta zen.
Guardo il mare davanti con gli occhi chiusi.
E la mia testa si svuota di ogni pensiero e preoccupazione.

Esploro la libertà.

©aMe
Andrea Magliano

La mia foto

23 Dic

Permettetemi un post di puro nonsenso, intellettuale o demenziale. Di puro egocentrismo. Perché in verità sono una persona vanitosa ed estremamente permalosa. Tanto introversa quanto estroversa.

Iscrivendomi ai social network, ho sempre incontrato un problema: la foto del profilo. Per me era un dolore incommensurabile e stupidamente profondo. Non amo farmi fotografare. Non sono né fotogenico né bello. Fuori. Dentro, checché ne dicano gli altri – quanto adoro la parola checché -, non l’ho ancora capito. Sono tutto fuorché l’emblema della perfezione e le persone non hanno fatto altro che evidenziarlo. Anche se le eccezioni ci sono state e tutto sommato non pochissime.

Pensandoci bene, forse è per questo che provo un amore sfrenato verso il cinema e la composizione visiva e parimenti un rapporto difficile con la macchina fotografica.

Di conseguenza ci sono pochissime foto a testimoniare la mia crescita. Tutto è affidato alla mia memoria che si è così sviluppata affinché io non dimenticassi quasi niente, ma che prima o poi mi abbandonerà. Come tutto. Inoltre, quelle poche foto non ricordano eventi rilevanti per me o stati d’animo significativi. Odio spesso le foto dei profili altrui. La gente si mette in posa, prova e riprova quello scatto, fingendo di essere ciò che non è. Sono artefatti, non mostrano chi sono. Fortunatamente non tutti sono così.

Pensatore

Ho sempre scelto qualche foto, recuperata da google che mi descrivesse. Questa era la miniatura del mio profilo facebook. La trovo magica. Un ragazzo al centro di un lungo corridoio. Pensatore e corridore della vita a metà tra due forze contrapposte che gli impediscono di vivere. La luce infonde la speranza. Vedete che trip mentali da una semplice immagine, insignificante agli occhi altrui?

Per il blog ho scelto invece due fotografie da me scattate. Quella in home è stata rubata il 7 gennaio dalla passeggiata Anita Garibaldi a Genova Nervi. Il tramonto ha prodotto quei colori splendidi. È l’idea di una piccola torretta, io, sul mare, la vita e insieme il mistero. Nascere in una città portuale mi ha fatto apprezzare la natura poetica e drammatica della vita. Il nostro sguardo ha una forte componente melanconica e sognatrice. Sono un esploratore.  E voglio volare lontano.

Andrea Magliano - Sigarette

Come profilo WordPress ho optato per quest’altra, nata casualmente, ma che per me imprime molto il mix di cui sopra. I due fiori sono due innamorati. Il pacco di sigarette per trasposizione è anche una bara e i fiori sono lì posati a ricordo di qualcuno che non c’è più. Tralasciate per entrambe, vi prego, la scarsa qualità tecnica.

Poi, dopo 4 anni di facebook, dovevo cambiare. Ripensando al 2012 travagliato e grazie al sostegno inconsapevole di alcuni, ho per la prima volta inserito la mia foto personale. Ho iniziato a navigare i blog altrui e mi sono accorto che pochi hanno un’immagine propria o si firmano per nome e cognome. Anche io facevo così. Volevo espormi il meno possibile. Poi ho pubblicato Omosessualità e omofobia in cui affrontavo di petto una situazione – ed è uno degli articoli più letti, purtroppo credo perché la gente curiosa correva a vedere se ero gay o meno… Ho detto bisogna prendere coraggio delle proprie idee. E ho iniziato a firmarmi con nome e cognome. aMe diventa Andrea Magliano. Non basta, l’ultimo passo è quello di metterci anche la faccia. Dunque eccomi. Questo sono io:

Andrea Magliano - MDNA Tour - MilanoQui sono al concerto lo scorso 14 giugno. Ero solare come non mai. E non so se per la nuvola di canna che si levava dagli spalti o perché stavo per incontrare la mia eroina. Da lì a qualche ora lo stadio si sarebbe riempito, Madonna sarebbe comparsa sul palco e io mi sarei commosso. Appena l’ho vista ho versato qualche lacrima. E mi sono ripromesso che riuscirò a conoscerla, a stringerle la mano e magari a lavorare con lei. Checché ne dicano gli altri. Io ce la farò.

Ma questa foto, scattata con un banale cellulare, è forse una delle migliori che ho. Sono felice, ricorda uno dei momenti migliori di quest’anno. E mostra chi sono senza troppi fronzoli. Io sono quello scricciolo di appena 170 cm di altezza, un po’ magro – prenatalizio – e con le fossette sulle guance. Sono il ragazzo genovese che si deve far crescere la barba per dire al mondo guardate che ho 23 anni. Sono il ragazzo della Bilancia che fatica a pronunciare le s, come Jovanotti, ma che rifiuta di andare da un logopedista perché quel difetto è mio. Sono io. Sono quel piccolo romantico sognatore che crede ancora nell’amicizia, nell’amore, nella famiglia, nella vita. Sono quel ragazzo buono, che diventa una bestia se qualcuno gli calpesta i piedi. Sono quello che si sente solo e sbagliato. Imperfetto.

Scusate il post egocentrico. Ma sono piccoli passi per crescere e per abbattere il muro. E se bisogna giocare, giochiamo fino in fondo.

Auguro a tutti buone feste! 🙂

@aMe
Andrea Magliano

Madonna, American Life – Part IV – Easy ride

13 Dic

Molti album di Madonna terminano con una canzone intima e spesso fortemente drammatica. Sono canzoni con un bel significato a livello testuale, musicalmente non allegrissime, ma che lei tende spesso a nascondere. Le esibisce raramente ai concerti o in generale nei live. Succede così con quasi tutti gli album con qualche sporadica eccezione. Ribadisco che secondo me sono tra le canzoni più belle perché lì traspare la vera anima dell’artista. In tutta la sua immane forza. In tutta la sua complessa fragilità.

American Life si conclude con una canzone che rievoca un film ben più famoso, Easy Rider. Qui, però, si intende proprio la corsa, ride, e  non il corridore, rider. Il significato dell’espressione indica una filosofia di vita, coloro che vogliono sentirsi privi di qualsiasi freno o limitazione, liberi dalle regole. Condurre un’esistenza semplice. L’easy ride è dunque assimilabile ad un percorso totalmente in discesa, privo di qualsiasi ostacolo o fatica.

Trovo molto bello questo titolo. Più che per il significato letterale, quanto per il simbolo a cui si eleva citando il film di cui sopra. Madonna ha espresso il suo rapporto ambivalente con l’America e con la vita. La propria. Ha effettuato all’interno di questo album un viaggio di scoperta di sé, di riflessione. Pur sempre un viaggio. E un percorso che l’ha condotta a toccare le città americane, da Hollywood a New York. Come nel film due motociclisti affrontano un lungo cammino tra gli Stati del Sud e le loro contraddizioni.

Quando penso alla storia che questa canzone mi trasmette, immagino sempre un lungo e intenso viaggio a bordo di una cabriolet. Sogno paesaggi secchi, fatti di dirupi e strapiombi sul mare. Onde che si increspano lungo questi muri. Una lunga strada di sole curve che costeggia questi ambienti. Il sole che risplende e riscalda l’atmosfera e qua e là qualche persona o macchina ferma. Sono contrasti, sono le mie contraddizioni. E la musica aiuta. Mi ispira una sorta di titolo di coda. Cinematograficamente la conclusione ultima di un’opera. Easy ride è la fine del viaggio, perché è il completamento di un percorso. Ma non è una fine nera. È bianca.

I want the good life / But I don’t want an easy ride / What I want is to work for it / Feel the blood and sweat on my fingertips / That’s what I want for me

La cosa che più mi auguro un domani, come potreste aver già intuito, è di trovare un posto da chiamare casa. Dove la casa non è per forza intesa fisicamente, ma più come uno stato mentale. Vorrei un luogo dove tutto è perfetto e nulla è sbagliato. Dove posso essere me stesso e soprattutto in pace con me stesso. Sono amato e posso amare. Sono semplicemente felice. Quella è la bella vita che mi auguro di ottenere e che, nonostante tutto, mi continua a spaventare. Sono una persona fortemente sensibile. Ma come tutte le persone di questo mondo la vorrei senza costi. Tuttavia, una cosa la si può avere, ma è di vitale bellezza e importanza guadagnarsela. So che il sacrificio tempra il carattere, so che aumenta il sapore e il valore di ciò che si ottiene. E dal dolore si raggiunge la vita e la felicità. Questo è ciò che voglio. Vorrei fare le mie scelte, giuste e sbagliate che siano, ma senza curarmi dell’etica morale. Solo per ottenere questa dimensione.

I want to know everything / Maybe someday I will / What I want is to find my place / Breathe the air and feel the sun on my children’s face / That’s what I want

Una delle cose che mi fa spesso soffrire è l’impossibilità di capire esattamente come funziona il mondo. Non vi sto parlando necessariamente di domande esistenziali. Sì, perché nonostante la mia tenera età – a 23 anni mi sento un piccolo bimbo indifeso – mi chiedo che cosa siano la vita e la morte, perché nasciamo e via dicendo. Ciò che però mi spaventa è il non riuscire a capire a volte le altre persone. Perché oggi i rapporti umani sono così complessi? Sembra che tutti siano egoisti e che i veri valori si perdano giorno dopo giorno. Amo gli animali – eccetto l’uomo – perché la Natura ha saputo creare in loro un equilibrio e una forte logica. L’uomo sembra quasi essere un errore in questo puzzle in cui tutto si incastra alla perfezione. Vorrei stare da solo, ma siamo esseri sociali e abbiamo bisogno di qualcos’altro oltre a noi stessi. Vorrei sapere tutto quanto. Ed egoisticamente vorrei capire qual è il mio scopo. Io ho un sogno, o meglio ne ho tanti. Chissà che un domani non li riesca ad avverare. E magari, quando li avvererò, capirò che quella è la mia dimensione. Questa è un’altra cosa che mi spaventa. E se non la trovassi mai?

I want to let go of all disappointment that’s waiting for me / What I want is to live forever / Not defined by time and space / It’s a lonely place / That’s what I want

La mia sensibilità è la mia fortuna e anche la mia rovina. Sono sempre in balia di stimoli esterni. Ho la capacità – non sempre – di capire chi ho di fronte, di vedere i loro gesti, analizzare i loro movimenti e ciò che si cela sotto. Ho così imparato che spesso le persone sono concretamente l’opposto di ciò che vogliono dare a vedere. E non avete idea di quante ne ho viste cadere o ergersi nei modi più impensabili. Ma questa mia profonda sensibilità e questi miei occhi mi feriscono. A volte mi sento perennemente insoddisfatto. Oscillo da un momento di totale felicità a uno di totale abbandono. Vorrei vivere per sempre, ma non costretto da limiti. La celebrità è un po’ questo: potersi esprimere e avere degli apprezzamenti da parte di sconosciuti;  sapere di esserci stati e di aver lasciato un segno e che c’è qualcuno che ti vuole bene o ti ama, nei tuoi pregi e nei tuoi difetti, senza conoscerti. Soprattutto parlare, liberarsi, sfogarsi. So che alcune persone mi vogliono bene, ho una famiglia e degli amici, ho rimorchiato volente o nolente donne e uomini. Non ho avuto mali di nessun tipo. Sono stato molto fortunato. Eppure c’è qualcosa che mi manca. Forse ho bisogno di sentirmi apprezzato in altra maniera o forse semplicemente di svuotarmi. Voglio liberarmi da ogni limite possibile. Mi sento imprigionato. Vorrei essere un’entità sfuggente. Io mi sento ermetico e profondamente poco originale nella mia originalità. Vorrei essere libero da catene, gioie e dolori. Vorrei sentire quel raggio di sole colpirmi il volto. Lasciare che la brezza massaggi i miei capelli. Il fuoco riscaldarmi. L’essenziale e il naturale.

I go round and round just like a circle / I can see a clearer picture / When I touch the ground I come full circle / To my place and I am home /I am home

E allora inizio il mio viaggio. Proseguo in questa ricerca che però conduce sempre allo stesso punto. Tutto parte da me. Il cerchio, simbolo della vita, è infinito nella sua circonferenza. Non esiste un punto di inizio e un punto di arrivo. Dunque la partenza altro non è che me stesso. E da lì costruisco tutto quanto. Posso decidere di andare il più lontano possibile, ma non troverò una soluzione finché non risolverò me stesso. Ed è così che, quando mi fermo e smetto di volare per riprendere fiato e resto solo, riesco a risolvere questo mistero indecifrabile. Completo il cerchio. Il viaggio è in senso letterale di crescita, ma in maniera ancora più figurata il trovare il mio posto. Quando terminerà, troverò quel luogo da chiamare casa. E sarò soltanto io quella casa. E coloro che ospiterò.

Fine.

@aMe
Andrea Magliano