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Buio

27 Ago

Non esiste luce che sopravviva nel buio.

Facciamo un gioco. Chiudete gli occhi e immaginate di cadere in un sonno profondo. Vi risvegliate, ma qualcosa non funziona. I vostri occhi non collaborano. Non si vogliono aprire. Il panico inizia a impossessarsi di voi. Oddio, che cosa mi sta succedendo? Dove mi trovo?

Allungate la mano verso il volto, pronti a usare la forza pur di smuovere le palpebre. Ma improvvisamente vi accorgete che loro hanno sempre collaborato. La pupilla e l’iride sono scoperte. Il problema non siete voi.

Il problema è che manca la luce. Non c’è neanche quel bagliore tiepido che vi accompagna nel cuore della notte. Quel riflesso della luna che disegna i contorni dei mobili, che definisce i confini dello spazio che vi circonda. Che vi fa capire che siete a casa.

Qui il protagonista è l’oscurità totale. E se voi foste al centro di una stanza apparentemente spoglia, lontano da qualsiasi parete? Cosa succede adesso?

Chi segue il blog da un po’ si sarà accorto quanto importanti siano per me gli occhi. Ne parlavo giusto un mese fa in questo intervento, definendo l’occhio come una finestra sull’anima di una persona, nonché la nostra principale macchina fotografica, capace di estrapolare dettagli su di sé e sugli altri. Inoltre sono un aspirante artista visivo e, in qualità di esteta visuale, l’occhio è un elemento determinante. Insieme a cuore e cervello.

In quello stesso intervento descrissi la cecità come uno dei demoni che maggiormente mi spaventano:

E allora temo la cecità. Non chi è cieco perché non può osservare, ma chi è cieco perché non vede.

Fatta questa premessa, la seconda doverosa riguarda il concetto della crescita. Crescere per me vuol dire conoscere e affrontare quei demoni. Gettarsi nel profondo io inconscio e trovarsi faccia a faccia con loro. Interrogarsi per capire chi siamo e per capire ciò che ci circonda. Fare un’apparente violenza psicologica per rafforzare il corpo.

A Genova è stata installato un percorso didattico, Dialogo nel buio. Qui il sito. Si tratta di un’esperienza sensoriale in cui, sotto l’occhio di una guida ipovedente, si simulano situazioni di vita quotidiana nella più completa oscurità. La cecità. Il percorso è presente anche a Milano.

Non vi svelerò molto per evitare di rovinare la sorpresa. La visita a gruppi dura circa 45 minuti. Bisogna depositare borse, cellulari e oggetti vari. Dietro una tenda nera, la guida attende gli ospiti che sono immediatamente catapultati nel vivo dell’attrazione. Non esiste passaggio graduale perché ogni fonte di illuminazione è appositamente coperta.

Il primo gesto che mi ha colpito è stato il più banale. La guida allunga la mano in segno di saluto, ma ancor più chiede al prossimo di affidarsi completamente a lei. Un gesto di totale fiducia riposto in uno sconosciuto. Pochi secondi per decidere. Dentro o fuori. Siamo disposti a fare questo tuffo nel buio nel senso più specifico del termine?

Del resto lei è l’unica persona che sa sopravvivere in questa situazione per noi totalmente nuova. L’unica che vede nel buio e può tirarci fuori dal panico, dall’improvviso senso di claustrofobia e disorientamento che ci colpisce. La sola che ci può far muovere dalla parete. Quella guida che si trasforma in amico e ancor più in coscienza di una dimensione a noi estranea.

Il tendere la mano verso l’altro, la fiducia che siamo disposti a dare o a riporre. Gesti banali che nel buio amplificano la propria dimensione.

Nell’oscurità totale il corpo reagisce potenziando gli altri sensi. Chiudere gli occhi, sposta l’attenzione sugli odori o sui rumori. Prevale il tatto in questa nuova realtà. Ed è allora che ci si accorge che quest’ultima è solo una traslazione dell’altra. Noi siamo capaci di muoverci e di sopravvivere anche in assenza di luce.

Mancano i colori e mancano le forme. Ma forse è solo apparenza. La luce che proviene dal nostro corpo e dall’ambiente non è mai svanita. La sicurezza che prima era scomparsa torna graduale come un fedele compagno viaggiatore. Perché l’oscurità è una pura invenzione umana.

Impariamo a classificare il bene e il male come luce e buio, quando il confine è puramente labile. Catapultiamo noi stessi in quei momenti no, in quei momenti in cui tutto appare fragile e cadente, in prigioni oscure da cui fatichiamo a uscire. Dimenticandoci a volte la soluzione più semplice. Che una piccola fiamma, un fuoco, è capace di condurci alla salvezza. Là verso la luce. Sia questo fuoco la speranza, un amore, una persona o una fiamma in senso letterale.

E allora anche nel buio più profondo la luce esiste sempre. Bisogna sapere dove trovarla…

È stata un’esperienza catartica.

©®aMe
Andrea Magliano