Life in a day è considerato il primo esempio di social movie della storia.
La società di produzione dei fratelli Scott, la Scott Free, in collaborazione con Youtube, ha invitato gli utenti di tutto il mondo a caricare un video che raccontasse il proprio 24 luglio 2010. A ciascun partecipante erano poste tre domande: Che cosa ami? Di che cosa hai paura? Che cosa hai in tasca?
Le persone hanno realizzato sugli 80.000 cortometraggi. Kevin Macdonald, Oscar per Un giorno a settembre, ha poi rielaborato il materiale fino a raggiungere i 95 minuti circa di durata. La parte creativa è duplice, affidata da un lato ai singoli registi che hanno proposto spezzoni di tutto il mondo e dall’altra al gigantesco lavoro effettuato in sala montaggio che tenta di coordinare e creare un unico filo conduttore.
Il video è gratuito e distribuito sul canale ufficiale di Youtube, qui incorporato. Seppur prevalentemente in inglese, è consigliabile la visione con i sottotitoli. Piccola critica in proposito. Anche se ben fatti, è stata creata una traccia per non udenti: in presenza di suoni o di musiche di sottofondo il testo si fa invasivo con messaggi tipo [musica angosciante crescente].
Partiamo dal punto dolente della pellicola. Il film ha una visione estremamente ottimista del nostro pianeta. Ogni riferimento negativo a guerre, malattie incurabili, drammi della vita sono qui rimossi. Le persone riprese in ospedale o affette da mali sono sulla via della guarigione. Ci si limita a qualche pistola nella borsa e l’unico episodio realmente negativo riguarda La parata dell’amore di Duisburg, evento in cui all’insaputa dei partecipanti persero la vita una ventina di giovani schiacciati dalla folla.
Ne esce un’immagine edulcorata e distorta di un mondo che è sì anche quello, ma che non lo è in toto. L’immagine della nostra natura è positiva e la morte diviene una presenza distante, anche nel regno animale, ridotta esclusivamente all’allevamento di carne necessario però alla propria sopravvivenza. Avverto della presenza di una scena ambientata in un mattatoio italiano.
Il regista decide di dare così un taglio ben mirato alla pellicola. D’altro canto è di per sé impossibile pensare di ridurre a un’ora e mezza l’intera varietà di umanità.
Macdonald preferisce accostare immagini di mentalità lontane e distorte, perché se è vero – ed è giusto ricordarlo sempre – che non esistono distinzioni di razze tra uomini, comunque l’uomo non presenta un unico spirito critico coeso e uguale.
Faccio fatica a effettuare una recensione di questo film dato che alla fine ci sono storie che più mi piacciono e altre meno, legate al carisma dei singoli protagonisti. Non esistendo una trama tradizionale, il lungometraggio ha la capacità di emozionare e meravigliare con verità che sono alla nostra portata tutti i giorni. Come per esempio la nascita. Perché se la morte è quasi del tutto assente i contributi evidenziano la nascita di una giraffa e la schiusa di un uovo di un piccolo pulcino. Fino al momento comico del padre che sviene in sala parto e l’infermiere che è costretto a tenergli alte le gambe per farlo rinvenire.
Ci sono altre storie che mi sono entrate nel cuore. Quella di un uomo coreano, non è importante per lui se del Nord o del Sud, che gira il mondo in bicicletta. O il racconto di due genitori che immortalano quel giorno come progetto di famiglia per ricordare la fine del cancro che ha colpito lei, riducendole la schiena a un campo minato di cicatrici. Il padre e il figlio piccolo che vivono in un piccolo e sporco appartamento giapponese con il quadro della madre morta in ogni stanza a cui rivolgere, appena svegli, un saluto con tanto di piccolo rito religioso. O la donna che si fa bella per incontrare trepidante il proprio uomo in servizio in Medio Oriente su Skype per poi crollare in un pianto di tristezza per la lontananza che è costretta a vivere.
Il film sviluppa vari momenti del nostro esistere, sottolineando come questi facciano parte della nostra natura umana. Dalla nascita a un nuovo risveglio, il bagno di prima mattina, la prima barba, il lavoro, il pranzo, i riti religiosi…
Al tempo stesso si mettono insieme le macroscopiche differenze. A volte dettate dai diversi gruppi a cui apparteniamo che producono un plus valore nell’individuo. Rendendo l’umanità così affascinante e mistica. I rituali induisti, le sagre e le feste in piazza dei paesi spagnoli, le lanterne luminose lasciate fluttuare, la vita nomade dei pastori. Sono quelle differenze che rendono speciale ogni luogo fisico e chi vi abita. Mi sorge una critica spontanea sul ruolo che assume la globalizzazione e la tendenza costante all’omologazione che rischiano di rimuovere la nostra storia, appiattendo l’intero concetto di cultura a meri valori imposti dal dio denaro.
Il montaggio gioca spesso per dissonanze. C’è l’immagine di un giovane omosessuale pronto a rivelare alla nonna il proprio orientamento e a essere accettato. Pochi minuti dopo un uomo alla domanda Di cosa hai paura? risponde che è terrorizzato dalle malattie e dunque anche dall’omosessualità.
Sottolinea come tante persone sono capaci di abbattere barriere socioculturali o politiche (un Coreano a cui non importa se del Nord o del Sud). Ne esistono però tante il cui maggior incubo è rappresentato da culture diverse che non possono comprendere.
Macdonald cerca di non esprimere nessun giudizio su quanto mostrato, limitandosi a esserne spettatore. È l’osservatore della specie umana che svela un rapporto simbiotico e contrastante con la natura, con l’artificio della città, con gli altri.
Sono stralci di umanità infinitamente complessa e fragile. Sarebbe bello poter comprendere ogni spiegazione dietro ciascun comportamento. Capire da dove nascano e soprattutto perché. Sono immagini di un’umanità desiderosa di coesione e al tempo stesso separata e incapace di convivere. Eppure le nostre gioie e le nostre paure sono le stesse ovunque ci troviamo. Non siamo mai soli, in niente. Nel bene e nel male. Ci sarà sempre qualcuno con cui avere qualcosa in comune da condividere.
Vorrei chiudere quest’articolo con il pensiero dell’ultimo contributo. Mi ferisce il cuore ogni volta che sento questa donna, perché so che cosa vuol dire. E perché trasuda tutta la forza, la debolezza, la solitudine, la consapevolezza della nostra condizione.
È quasi mezzanotte adesso e il tempo a mia disposizione per questo video sta per scadere. Ho lavorato tutto il giorno, di sabato…. La cosa triste è che ho trascorso tutto il giorno sperando che succedesse qualcosa di strabiliante, qualcosa di grandioso, qualcosa per apprezzare questa giornata e per farne parte e per… mostrare al mondo che ti può capitare qualcosa di bello ogni giorno della tua vita, nella vita di tutti. Ma la verità è che non accade sempre. E a me, oggi… in tutta la giornata, in realtà non è capitato niente. Voglio che la gente sappia che ci sono. Non voglio cessare di esistere. Non starò qui a dirvi che sono una persona meravigliosa, perché… non credo di esserlo… per niente. Penso di essere una ragazza normale, con una vita normale, non abbastanza interessante… per volerne sapere di più. Ma voglio esserlo. E oggi… anche se… anche se non mi è capitato niente di speciale, stasera mi sento come se fosse successo qualcosa di importante.
@aMe
Andrea Magliano