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Life in a day

3 Feb

Life in a day è considerato il primo esempio di social movie della storia.

La società di produzione dei fratelli Scott, la Scott Free,  in collaborazione con Youtube, ha invitato gli utenti di tutto il mondo a caricare un video che raccontasse il proprio 24 luglio 2010. A ciascun partecipante erano poste tre domande: Che cosa ami? Di che cosa hai paura? Che cosa hai in tasca?

Le persone hanno realizzato sugli 80.000 cortometraggi. Kevin Macdonald, Oscar per Un giorno a settembre, ha poi rielaborato il materiale fino a raggiungere i 95 minuti circa di durata. La parte creativa è duplice, affidata da un lato ai singoli registi che hanno proposto spezzoni di tutto il mondo e dall’altra al gigantesco lavoro effettuato in sala montaggio che tenta di coordinare e creare un unico filo conduttore.

Il video è gratuito e distribuito sul canale ufficiale di Youtube, qui incorporato. Seppur prevalentemente in inglese, è consigliabile la visione con i sottotitoli. Piccola critica in proposito. Anche se ben fatti, è stata creata una traccia per non udenti: in presenza di suoni o di musiche di sottofondo il testo si fa invasivo con messaggi tipo [musica angosciante crescente].

 

Partiamo dal punto dolente della pellicola. Il film ha una visione estremamente ottimista del nostro pianeta. Ogni riferimento negativo a guerre, malattie incurabili, drammi della vita sono qui rimossi. Le persone riprese in ospedale o affette da mali sono sulla via della guarigione. Ci si limita a qualche pistola nella borsa e l’unico episodio realmente negativo riguarda La parata dell’amore di Duisburg, evento in cui all’insaputa dei partecipanti persero la vita una ventina di giovani schiacciati dalla folla.

Ne esce un’immagine edulcorata e distorta di un mondo che è sì anche quello, ma che non lo è in toto. L’immagine della nostra natura è positiva e la morte diviene una presenza distante, anche nel regno animale, ridotta esclusivamente all’allevamento di carne necessario però alla propria sopravvivenza. Avverto della presenza di una scena ambientata in un mattatoio italiano.

Il regista decide di dare così un taglio ben mirato alla pellicola. D’altro canto è di per sé impossibile pensare di ridurre a un’ora e mezza l’intera varietà di umanità.

Macdonald preferisce accostare immagini di mentalità lontane e distorte, perché se è vero – ed è giusto ricordarlo sempre – che non esistono distinzioni di razze tra uomini, comunque l’uomo non presenta un unico spirito critico coeso e uguale.

Life in a day - Poster 2

Faccio fatica a effettuare una recensione di questo film dato che alla fine ci sono storie che più mi piacciono e altre meno, legate al carisma dei singoli protagonisti. Non esistendo una trama tradizionale, il lungometraggio ha la capacità di emozionare e meravigliare con verità che sono alla nostra portata tutti i giorni. Come per esempio la nascita. Perché se la morte è quasi del tutto assente i contributi evidenziano la nascita di una giraffa e la schiusa di un uovo di un piccolo pulcino. Fino al momento comico del padre che sviene in sala parto e l’infermiere che è costretto a tenergli alte le gambe per farlo rinvenire.

Ci sono altre storie che mi sono entrate nel cuore. Quella di un uomo coreano, non è importante per lui se del Nord o del Sud, che gira il mondo in bicicletta. O il racconto di due genitori che immortalano quel giorno come progetto di famiglia per ricordare la fine del cancro che ha colpito lei, riducendole la schiena a un campo minato di cicatrici. Il padre e il figlio piccolo che vivono in un piccolo e sporco appartamento giapponese con il quadro della madre morta in ogni stanza a cui rivolgere, appena svegli, un saluto con tanto di piccolo rito religioso. O la donna che si fa bella per incontrare trepidante il proprio uomo in servizio in Medio Oriente su Skype per poi crollare in un pianto di tristezza per la lontananza che è costretta a vivere.

Il film sviluppa vari momenti del nostro esistere, sottolineando come questi facciano parte della nostra natura umana. Dalla nascita a un nuovo risveglio, il bagno di prima mattina, la prima barba, il lavoro, il pranzo, i riti religiosi…

Al tempo stesso si mettono insieme le macroscopiche differenze. A volte dettate dai diversi gruppi a cui apparteniamo che producono un plus valore nell’individuo. Rendendo l’umanità così affascinante e mistica. I rituali induisti, le sagre e le feste in piazza dei paesi spagnoli, le lanterne luminose lasciate fluttuare, la vita nomade dei pastori. Sono quelle differenze che rendono speciale ogni luogo fisico e chi vi abita. Mi sorge una critica spontanea sul ruolo che assume la globalizzazione e la tendenza costante all’omologazione che rischiano di rimuovere la nostra storia, appiattendo l’intero concetto di cultura a meri valori imposti dal dio denaro.

Il montaggio gioca spesso per dissonanze. C’è l’immagine di un giovane omosessuale pronto a rivelare alla nonna il proprio orientamento e a essere accettato. Pochi minuti dopo un uomo alla domanda Di cosa hai paura? risponde che è terrorizzato dalle malattie e dunque anche dall’omosessualità.

Sottolinea come tante persone sono capaci di abbattere barriere socioculturali o politiche (un Coreano a cui non importa se del Nord o del Sud). Ne esistono però tante il cui maggior incubo è rappresentato da culture diverse che non possono comprendere.

Macdonald cerca di non esprimere nessun giudizio su quanto mostrato, limitandosi a esserne spettatore. È l’osservatore della specie umana che svela un rapporto simbiotico e contrastante con la natura, con l’artificio della città, con gli altri.

Sono stralci di umanità infinitamente complessa e fragile. Sarebbe bello poter comprendere ogni spiegazione dietro ciascun comportamento. Capire da dove nascano e soprattutto perché. Sono immagini di un’umanità desiderosa di coesione e al tempo stesso separata e incapace di convivere. Eppure le nostre gioie e le nostre paure sono le stesse ovunque ci troviamo. Non siamo mai soli, in niente. Nel bene e nel male. Ci sarà sempre qualcuno con cui avere qualcosa in comune da condividere.

Vorrei chiudere quest’articolo con il pensiero dell’ultimo contributo. Mi ferisce il cuore ogni volta che sento questa donna, perché so che cosa vuol dire. E perché trasuda tutta la forza, la debolezza, la solitudine, la consapevolezza della nostra condizione.

È quasi mezzanotte adesso e il tempo a mia disposizione per questo video sta per scadere. Ho lavorato tutto il giorno, di sabato…. La cosa triste è che ho trascorso tutto il giorno sperando che succedesse qualcosa di strabiliante, qualcosa di grandioso, qualcosa per apprezzare questa giornata e per farne parte e per… mostrare al mondo che ti può capitare qualcosa di bello ogni giorno della tua vita, nella vita di tutti. Ma la verità è che non accade sempre. E a me, oggi… in tutta la giornata, in realtà non è capitato niente. Voglio che la gente sappia che ci sono. Non voglio cessare di esistere. Non starò qui a dirvi che sono una persona meravigliosa, perché… non credo di esserlo… per niente. Penso di essere una ragazza normale, con una vita normale, non abbastanza interessante… per volerne sapere di più. Ma voglio esserlo. E oggi… anche se… anche se non mi è capitato niente di speciale, stasera mi sento come se fosse successo qualcosa di importante.

@aMe
Andrea Magliano

Prometheus

7 Dic

Tutte le recensioni che ho letto su questo film iniziavano tutte nello stesso identico modo: è o non è il prequel di Alien? Per rispondere, partiamo dal magnifico teaser trailer, uscito lo scorso dicembre che ricalca nello stile il ben più famoso film di Ridley Scott.

Prima di descrivere la trama, preciso ciò che Prometheus è secondo me, cioè sia un prequel sia una storia totalmente separata. In concreto, l’idea di partenza è quella di sviluppare l’universo del film del 1979 e di porvi numerosi punti in contatto. Il film vira però su temi nuovi e ancor più pretenziosi. Se Alien è il classico sci-fi horror in cui un mostro uccide membro dopo membro l’equipaggio di un’astronave mercantile, Prometheus cerca di affrontare l’annosa domanda su chi siamo e da dove veniamo.

Prometheus PosterUna coppia di scienziati, tra cui Noomi Rapace, scopre alcune pitture rupestri che raffigurano una sorta di mappa stellare. Secondo loro si tratta di un invito dei nostri lontani creatori. La Weyland mette a disposizione un equipaggio composto da scienziati con cui intraprendere questo viaggio volto alla ricerca dei nostri avi, chiamati Ingegneri. Ma quando arrivano su quel pianeta scoprono che nulla è come sembra.

Premetto subito una cosa, il mio giudizio sul film. Se devo valutare il lungometraggio come opera individuale, lo considero comunque un prodotto mediamente buono, consapevole, ahimè, della scarsità delle ultime pellicole uscite. Se lo si vuole però confrontare con l’opera distante più di trenta anni, nonostante le allora limitazioni tecniche, ne esce con le ossa rotte.

Perché Alien nella sua apparente linearità riusciva a delineare i personaggi psicologicamente e introdurre temi delicati e affascinanti (la serie è infatti una sorta di decalogo sulla donna e sulla femminilità, complice l’incubo di Giger, creatore degli alieni). Prometheus ha dalla sua un’ottima regia, un’ottima stereoscopia, alcuni buoni attori, ma cade su uno dei perni centrali: la sceneggiatura.

Inizialmente affidata a Jon Spaihts, poi a Damon Lindelof, famoso autore proveniente da Lost, presenta un forte pressapochismo per tutto il film che gradualmente naufraga nella follia pura. Ottimo materiale per gli autori di Scary Movie.

Vi propongo alcune delle chicche più divertenti:

  • In Alien la Nostromo, nave mercantile, conta un equipaggio di meno di una decina di personaggi. Qui siamo con un team di quasi venti anime, di cui molte non vengono presentate. Non si capisce chi muore, come, quando e perché.
  • Sulla Prometheus l’equipaggio è formato da scienziati, oserei dire della peggior specie, i quali scoprono il motivo della spedizione quando la nave è pronta ad atterrare sul pianeta alieno. Capisco i motivi logistici/produttivi della sceneggiatura, ma sarei curioso di sapere chi accetterebbe nella realtà un incarico senza neanche porsi una domanda. E per un film che vuole essere esistenzialista è molto grave.
  • Parliamo di due scienziati, il biologo e il geologo/addetto alle mappe, tra cui è sotteso tra l’altro un leggerissimo rapporto omoerotico. Perché ormai l’omosessualità  è la moda del momento. Questa coppia è capace di perdersi. Direte: ma come? Lui è l’addetto alle mappe e si perde? Inoltre il biologo, lì proprio per nuove forme di vita, è il primo a fuggire quando vede il cadavere di uno degli Ingegneri. Più tardi tuttavia offrirà un arto a un serpente dalla bocca a vagina (perché le allusioni sessuali di Alien tornano prepotentemente) in una scena chiamatissima.
  • Il personaggio di Noomi Rapace, novella Ripley, utilizza una macchina medica all’avanguardia tarata per operazioni maschili per subire un parto cesareo! Non contenti della profonda incongruenza, l’apparecchio, capace delle più moderne operazioni, non dispone di un raggio laser per ricucire la paziente, che viene letteralmente graffettata! Ancora non contenti, la Rapace esce dalla capsula, faticando a muoversi. Cambia l’inquadratura e cammina perfettamente come niente. Nuova sequenza ed è lì a correre mentre un’astronave le precipita addosso…
  • … e se un’astronave precipita molto lentamente cosa fanno per fuggire lei e la Theron? Vi corrono sotto, nella zona d’ombra, non cercando di spostarsi ai lati dove si salverebbero facilmente.

Queste sono solo alcune delle stupidaggini. Per altre vi rimando alla parodia della serie How it should have ended che mostra, anche, come sarebbe potuto finire collegandosi direttamente ad Alien. Perché la verità è questa: Prometheus nasce volutamente per essere un prequel di un altro prequel per poi sfociare in Alien. Insomma quando Hollywood è totalmente priva di idee…

Eppure il film non è tutto da buttare. A partire dalla scena iniziale. In un mondo inviolato, un Ingegnere beve una strana pozione. In quel momento il suo corpo si frantuma e si scioglie nell’acqua. E qui il suo DNA inizia un nuovo corso. Gli Ingegneri, fisicamente simili a noi umani, sono i nostri creatori avendo lo stesso DNA. Scott, tuttavia, non ha mai specificato che quel pianeta fosse il nostro. Nella sua idea gli Ingegneri viaggiano nello spazio per creare nuovi ecosistemi.

Prometheus - Sacrificio Ingegnere

Tutti hanno focalizzato la loro attenzione su quest’immagine per dare credito alla teoria del creazionismo. Trascendendo tuttavia su due punti fondamentali. Assodata l’idea della panspermia, se noi fossimo figli degli Ingegneri, chi sarebbero a loro volta i loro padri? Inoltre, il mondo su cui atterrano appare come immacolato e il sacrificio confluisce direttamente nell’acqua, da cui parte la vita sulla Terra. È possibile allora sottendere come l’evoluzione possa avvenire in modo naturale e non controllato dopo l’intervento di una mano divina, qui rappresentata da un’altra forma di vita più intelligente?

Un’altra atavica domanda è quella di chiedersi che cosa succederebbe se padri e figli di questo processo si incontrassero? La visione di Ridley Scott è fortemente pessimista. A cominciare dal nome dell’astronave, la Prometeo, che nasconde secondo la mitologia una storia tragica.

Gli Ingegneri non sono contenti della visita degli uomini. L’equipaggio scopre difatti degli esseri sì evoluti, ma violenti e in procinto di tornare sul nostro pianeta per scagliare una piaga e distruggere la stessa umanità da loro creata. Quella piaga rappresentata da una stiva di cilindri colmi di un liquido nero e pulsante, capace di mutare il suo ospite. E che è l’origine dello xenomorfo di Alien.

Così, da una domanda a cui hai appena risposto, scaturisce un nuovo quesito. Perché il creatore dovrebbe disprezzare la propria creatura al punto di volere sterminarla? Che cosa è andato storto in questo ipotetico loro esperimento da cercare la sua fine?

Inoltre, ancora prima di cogliere il senso della stessa distruzione, quale dovrebbe essere il motivo alla base della nostra creazione ? Il pessimismo cosmico dell’autore traspare da uno dei pochi personaggi ben costruiti, l’androide David, interpretato da un eccezionale Michael Fassbander. Nel dialogo con il marito della Rapace, parlando proprio di questo risponde secco:

Forse vi hanno creato perché potevano farlo, come voi siete stati capaci di creare me.

La risposta è di una brutalità disarmante. Noi nasciamo senza uno scopo reale, ma come semplice manifestazione di un’intelligenza superiore che ci ha usato come esperimento. Noi siamo un progetto, nulla di più.

Il film si chiude senza certezze e con un finale aperto al sequel. Termina con l’immagine di un’astronave che parte verso un nuovo pianeta per ottenere queste risposte. L’emblema di una visione di vita. Viviamo perché vogliamo ricevere risposte e la nostra sete di conoscenza è ciò che ci caratterizza come esseri umani. Ma chi ce le può dare? E soprattutto le otterremo mai?

Chiudo osservando questo. Nel film i vari personaggi si possono classificare in due gruppi: la fede e la ragione. La seconda categoria perde nettamente contro la prima e i sopravvissuti, coloro che hanno fede, partono verso il nuovo viaggio. Perché la speranza non va mai persa. Forse è questo il senso della vita.

@aMe
Andrea Magliano

Prometheus - Mappa stellare