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Stelarc

9 Apr

Ha tre orecchie e per qualche anno ha avuto anche una terza mano robotica. Eppure non è un personaggio dei fumetti né uno scienziato pazzo, anche se i più potrebbero definirlo così. Non è neppure affetto da qualche sindrome rara.

Il suo nome è Stelarc, pseudonimo di Stelios Arcadiou, ed è un semplice professore universitario e un artista. Origini cipriote, cresciuto in Australia e a stretto contatto con i laboratori più tecnologici del mondo, rientra tra i moderni performer.

Stelarc

Per chi non ricordasse, una performance si può definire brevemente come una qualche azione legata a uno specifico luogo e tempo in cui è imprescindibile il legame autore-pubblico. Il corpo del performer diventa la tela dell’artista, trasformando così se stesso in medium, il mezzo comunicativo. Questa forma d’arte non è immediata, produce uno shock e necessita una chiave di lettura.

Il percorso di Stelarc inizia a metà anni ’70. Sono anni di cambiamento, ma niente può preparare ai decenni che seguiranno. La tecnologia esplode e nei laboratori di ricerca si perfezionano i computer e la rete Internet. Da lì a pochi anni, grazie alle microtecnologie e alla miniaturizzazione dei componenti, questi dispositivi entrano prepotenti nella nostra vita modificandone inevitabilmente stile e pensiero.

La nostra vita si sdoppia tra reale e virtuale in rete. Internet e le macchine hanno abbattuto le frontiere dello spazio e del tempo al posto del nostro corpo, ma hanno comportato un sovraccarico di informazioni a cui è impossibile far fronte. Il progresso tecnologico corre più rapido dei suoi stessi creatori, incapaci di evolversi con altrettanta facilità.

Negli ultimi decenni si sono formate genericamente due scuole di pensiero, tra chi sostiene la bontà del cambiamento tecnologico e chi lo ritiene pericoloso e alienante per l’uomo. I più creativi ipotizzano persino che prima o poi le macchine si ribelleranno oppure che si fonderanno con noi, creando i cosiddetti cyborg.

Stelarc rifiuta il pessimismo tecnologico. Riconosce invece la necessità di evolvere il corpo umano, ritenuto obsoleto e soprattutto lento nell’affrontare il nuovo ambiente artificiale e interconnesso. Il suo pensiero sfida la natura, responsabile di averci donato un corpo poco stabile e funzionante, soggetto a continue malattie, la cui efficienza dipende dall’età e soprattutto mortale.

L’artista trasforma il suo corpo in una cavia con un unico obiettivo: preparare l’uomo ad affrontare il futuro quando l’organico e l’inorganico non saranno più distinti. Per questo è importante muoversi per piccoli passi, attraverso una serie di esercizi preparatori.

Innanzitutto il corpo, dovendo affrontare situazioni estreme, deve modificare la propria soglia del dolore e la propria sensibilità. Con The body suspensions (1976-1988), una serie di ganci inseriti nella pelle lo sollevano a varie altezze: è la sua sfida alla gravità. Nel 1993 crea delle capsule biocompatibili e robotiche (Stomach sculputures), da inserire nello stomaco e capaci di emettere suoni e di illuminarsi, per capire come l’organismo affronta una struttura aliena e artificiale.

L’idea degli studi successivi proviene dal mondo informatico. Una struttura efficiente è strutturata in moduli, unità con singoli specifici compiti. Se uno non funziona si sostituisce senza compromettere l’intero sistema. Inoltre, a moduli preesistenti se ne possono aggiungere altri per implementare nuove attività.

Il corpo nuovo deve essere modulabile, ma le singole parti avranno natura inorganica e organica. Negli anni Ottanta nasce il progetto The third hand. Sul braccio destro ne è inserito uno nuovo artificiale che termina in una mano robotica totalmente autonoma. L’obiettivo non è sostituire il corpo originario, ma espanderne le possibilità. Il primo passo verso quel cyborg è durato oltre 10 anni.

Gli studi sulla genetica hanno dato luce forse alla sua opera più controversa. Dal 2003 Stelarc clona un orecchio da delle cellule umane, in attesa di impiantarlo. Si prevede inizialmente di posizionarlo sulla testa, ma dopo si opta per metterlo nel braccio sinistro. Nel 2007, dopo il rifiuto di numerosi chirurgi e proteste diffuse (l’esperimento è accusato di insensatezza e cattivo gusto, ben poco orientato al progresso scientifico), Stelarc inserisce l’organo che si rivela non funzionante.

Il corpo maltrattato e rimodulato di Stelarc è una forma di sperimentazione, tra arte e scienza, che fa riaffiorare molti interrogativi. La più immediata riguarda forse la credibilità artistica del suo lavoro. In sé, è lecito chiedersi che cosa oggi sia definibile esattamente arte.

La sua opera interroga ed estremizza la vita attuale. I calli, a cui facciamo l’abitudine dopo molte attività, qui sono solo portati all’eccesso. Del resto, per esempio, un astronauta deve abituarsi a vivere in assenza di gravità. La mano robotica che si ibrida con il corpo è solo una nostra estensione, non dissimile da una macchina, un computer o un qualunque altro dispositivo elettronico. Qui però sono integrati e non più disgiunti. Si evidenzia la nostra dipendenza.

Il suo progetto riconosce i limiti umani. Possiamo spingere la tecnologia più avanti, ma l’uomo non riesce più a stare al passo. Affidiamo l’esplorazione e la comunicazione del Mondo alle macchine, estromettendo le persone. Il suo cyborg si può intendere come un tentativo di riconquista in un ambiente ormai alieno.

La natura ci insegna che l’evoluzione è un processo lentissimo, ma costante. L’uomo tramuta in artificiale l’ambiente. La natura non è in grado di reagire e sempre l’uomo cerca di accelerare i tempi per risolvere un problema da lui creato.

Quale futuro ci attende? E con quale corpo lo affronteremo?

©®aMe
Andrea Magliano

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Rimando al sito ufficiale di Stelarc chi interessato a maggiori approfondimenti: qui.
Qui il precedente capitolo sul tema arte e performance: Orlan.

Faccio un grande ringraziamento perché sul blog si è abbattuta una pioggia di frecce, o meglio di Premi Dardos. Quattro blogger hanno dedicato una nomina a me, strappandomi più di un sorriso. Rigorosamente in ordine alfabetico: Amor et Omniacon le sue sempre magnifiche poesie che esplorano l’amore; Crazy Alice, simpaticissima più che crazy e con interessanti spunti letterari e musicali; Lady Khorakhane, prossima a diventare veterinaria, molto divertente e dolce; Sun, non solo abile scrittrice, ma anche sopraffina disegnatrice. Un profondo grazie a tutti quanti.

Orlan

18 Nov

Che cosa non è questo post:
– non è un inno alla chirurgia estetica;
– non è adatto ai deboli di cuore;
– non è uno studio approfondito;
– non parlerò di Lady Gaga.

Oggi torniamo bambini quando giocavamo con il Pongo, quel materiale modellabile e plasmabile per sfogare la propria creatività. Eravamo tutti novelli scultori. Artisti che affidavano ad altro da sé, diciamo un medium, la propria espressione. Facciamo però uno sforzo di immaginazione ulteriore. Proviamo a considerare il nostro corpo oggetto da lavorare fisicamente.

Orlan

Quella che vedete alla vostra sinistra è la francese Orlan, nome d’arte di Mireille Suzanne Francette Porte, e se siete stati attratti dai capelli bicolore vi consiglio di guardare più attentamente la fronte. Ebbene sì, sembrano esserci due corna sottopelle.

Orlan è una performer moderna, categoria a cui appartiene la forse più famosa Marina Abramovic. Spiego in parole semplici (e riduttive) il significato di performance: è un’azione legata a un determinato luogo e tempo in cui è imprescindibile il legame autore-pubblico e centrale il corpo dell’artista che si trasforma esso stesso in medium.

Il suo lavoro appare ben più complesso e profondo di quanto potrò descriverlo qui. Nata nel ’47 in Francia, Orlan rifiuta ogni forma di imposizione o potere, sia esso politico o religioso, nonché gli stereotipi sociali. Fervente femminista, si serve per le sue opere di ogni mezzo di comunicazione esistente e soprattutto del suo corpo come nuovo verbo.

Il suo atteggiamento di sfida lo denota a partire da quel nome senza genere, Orlan, che rifiuta la decisione genitoriale. La sua attività non si limita a una mera ribellione, ma si spinge verso una tanto approfondita quanto radicale ricerca di sé. Il corpo è il contenitore del nostro io che ci viene assegnato, ma di cui dobbiamo riappropriarci costruendolo e decostruendolo. Se operare sul corpo e sulle sue mutazioni implica uno studio dell’identità individuale e delle sue alterazioni, è altresì vero che esso rappresenta una finestra e lo strumento di comunicazione verso il mondo circostante.

Una delle opere principali dell’artista consiste in una serie di operazioni chirurgiche iniziate nel 1990 che le modificano definitivamente l’aspetto. È in una di queste che decide di farsi trapiantare sopra gli occhi due protesi per zigomi che le conferiscono così un aspetto mostruoso, mi permetto di dire luciferino.

Perché tali operazioni sono considerabili delle performance? Innanzitutto esse sono realizzate all’interno dell’ambito chirurgico pur decontestualizzato. Ogni intervento è trasformato in una sorta di palco teatrale che avviene in diretta e trasmesso sui supporti esistenti. Orlan recita testi mentre un’equipe di medici, vestiti con abiti a tema firmati da importanti nomi della moda, si muovono in una sorta di studio artistico dove il corpo di lei è il materiale grezzo da elaborare. In Omniprésence, durante l’intervento è previsto persino un botta e risposta con il pubblico collegato, oltre che una traduttrice per sordomuti. Infine, foto, garze, reliquie di ogni singola performance alimentano esposizioni e nuovi progetti artistici (Les petits reliquaires o Saint suaire n. 9, 21, …).

In queste performance, Orlan decide volutamente di non farsi addormentare e di restare vigile, pur anestetizzata. Il suo scopo non è quello di provare dolore fisico né, in un’ottica prevalentemente cristiana, di redimere i propri peccati.

Nonostante il suo carattere estremo, l’opera non è fine a se stessa, per quanto si possa non essere d’accordo. La società moderna impone attraverso i media una costante definizione di bellezza estetica a cui il singolo cerca di adeguarsi ricorrendo alla chirurgia. Qui, quest’ultima è del tutto snaturata, come è destrutturata la definizione di bellezza. Il canone di Orlan non è imposto dall’alto o servito alla consuetudine sociale. Dopo il rifiuto del nome paterno, rigetta anche il proprio corpo riplasmandolo a proprio piacimento, sottolineandone l’emancipazione femminile.

Trovo curioso notare che lo scenario che costruisce Orlan non è molto diverso da immagini futuristiche a cui l’arte bassa, come il cinema, ci ha spesso abituato per il nostro futuro. Il primo esempio che mi viene in mente è Hunger Games in cui la capitale di questa nazione futuristica è abitata da persone oserei dire eccentriche nel vestiario e nelle capigliature e androgine. E ancora nella fantascienza in cui si parla di uomini il cui corpo è tramutato in pezzi robotici se non direttamente armi. E pensiamo al successo del telefilm Nip/Tuck, successione di casi umani che affogano le proprie insicurezze nel bisturi.

Orlan decide di rimanere sveglia per favorire il dibattito con lo spettatore connesso. Il suo corpo aperto durante l’intervento è a tutti gli effetti una finestra sul mondo e soprattutto su di sé. La sala si compone di una moltitudine di schermi che espandono la scena. Orlan non è solo carne, ma essa stessa medium. Lei è l’opera e il restare sveglia le permette di guardarsi dentro e di autoconoscersi, fisicamente e non, in un vero e proprio, per quanto estremo, gioco di specchi.

Naturalmente non tutte le sue produzioni sono così violente. L’indagine del proprio io, proteso tra passato e futuro, passa per esempio per Les affiches peintes, poster cinematografici di film mai realizzati di cui Orlan, sotto varie identità e trasformazioni, è protagonista. O ancora con Self-Hybridations realizza una serie di scatti in cui il suo volto è mescolato con caratteristiche di altre estranee civiltà.

Se vi state chiedendo come faccio a conoscere quest’artista, per molti probabilmente solo pazza, è stata una figura che abbiamo studiato per un esame universitario. Durante la preparazione di questo post, però, ho scoperto che la sua influenza è stata notevole al punto da colpire l’artista più influenzabile, Lady Gaga, contro la quale è in corso per l’appunto un processo milionario per plagio per il materiale di Born this way.

Orlan Lady Gaga

Vi rimando al sito ufficiale di Orlan, con un’avvertenza ché nella home sono visibili delle zone pubiche in primo piano: www.orlan.eu.

©®aMe
Andrea Magliano

Oggi riparte l’avventura del blog. Appena finito di scrivere Countdown mi è venuta in mente questa artista con il suo lavoro per iniziare il nuovo percorso. Con questo post cerco di costruire un ponte tra il vecchio ciclo e il nuovo. Da un lato gli specchi e la ricerca di identità, dall’altra l’idea del modificare. Quel plasmare che denota dinamismo e un’evoluzione.
E all’inizio di un nuovo cammino, giunge inaspettato un premio, il Versatile Blogger Award, per cui ringrazio con estremo piacere CorvoBianco. Non lasciatevi intimorire, non becca! Correte a visitarlo che è dotato di bella intelligenza e spirito osservativo, oltre a un vasto e interessante repertorio musicale!